In libreria il volume di Davide Romano, “Uno spettro s’avanza… Globalizzazione, mafie, diritti e nuova cittadinanza”, Edizioni Ex Libris, pp. 128, euro 8
Presentazione
di Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc
e portavoce nazionale della Federazione della sinistra,
Il valore particolare di questo agile volume di Davide Romano sta proprio nella capacità di sintesi di cui l’autore fa mostra nell’affrontare press’a poco tutti i problemi fondamentali della nostra epoca: una capacità di sintesi che rende molto efficace la descrizione, la diagnosi e l’indicazione delle possibili soluzioni delle numerose difficoltà che la società e la politica si trovano oggi a fronteggiare.
I processi di globalizzazione e di nuova territorializzazione, e la conseguente crisi degli Stati nazionali, sono posti lucidamente alla base della necessità di ripensare la democrazia sia nel rapporto paritetico tra grandi aggregati sovranazionali (Europa, Nordamerica, America latina...) che nella ridefinizione della città come nuovo luogo della partecipazione civile..
La doppia sfida delle nuove (e diffusissime) povertà e della sostenibilità ambientale del presente modello di sviluppo, viene efficacemente presentata come la matrice della drammatica urgenza dei nostri problemi.
La diffusione globale e locale dell’«economia criminale», e quindi delle mafie, viene giustamente enfatizzata come cifra di uno sviluppo economico del tutto sregolato che, esaltato dalla guerra permanente, fa sì che la politica divenga diretta rappresentante del crimine (andando quindi ben oltre il classico rapporto di “scambio politico”) e giunge a creare, in particolare nelle zone di più acuto conflitto, dei veri e propri “stati-mafia”.
Insomma: tutte o quasi le nostre questioni essenziali sono tratteggiate da Romano in modo da renderne immediatamente percepibili, e quasi tangibili, le dimensioni e la gravità.
Questa sobria capacità di racconto non impedisce all’autore brevi ma istruttivi “affondi” nei dettagli.
È il caso dell’analisi della legislazione e della prassi amministrativa in materia di confisca e riconversione sociale dei beni sequestrati alle organizzazioni criminali. Qui, la minuziosa descrizione dell’evoluzione della normativa (e della sua attuazione) riesce a rendere conto sia degli ostacoli che via via si frappongono alla sua piena efficacia, sia della massa di competenze tecniche, amministrative e sociali che dovrebbero essere mobilitate per esaltare questa efficacia stessa, sia dell’importante valore simbolico e materiale dell’utilizzo dei beni confiscati al fine di ricostruire (e non di distruggere, come vorrebbero le mafie) nuovi e più saldi legami sociali e civili.
Ed è il caso dell’attenzione che l’autore, assai sensibile alle tematiche religiose, dedica al rapporto tra Islam ed economia, territorio assai poco frequentato dalla nostra cultura. Con sguardo reso acuto dalla curiosità intellettuale e dall’assenza di pregiudizi, vengono individuati i tratti fondamentali della “virtuosa economia” dell’Islam, e messe in luce nozioni ignote ai più, come la “tassa islamica” sulle ricchezze inutilizzate, o il divieto della riba (ossia dell’interesse tratto dalla pura attività speculativa). Nozioni che possono spiegare le particolarità di quella dottrina economica, e quindi sia alcuni suoi limiti ed incongruenze, sia il suo apporto al radicamento sociale di un orientamento religioso la cui diffusione viene troppe volte spiegata, dalla nostra mentalità occidentale, col facile ricorso alla categoria dell’«arretratezza» (mentre Romano invita a coglierne la relazione con alcune delle più avanzate pratiche di economia alternativa, come quella del microcredito).
Ma il tema principale del libro, il leit motiv di tutte le sue diverse argomentazioni, è senz’altro quello della democrazia e delle sue nuove forme, una democrazia che diviene la base di quell’umanesimo in cui Romano vede la vera missione dell’Europa del XXI secolo. E nel delineare questa democrazia Romano attinge sia alla più alta tradizione liberale, valorizzando al massimo il ruolo della divisione dei poteri, sia all’apporto del pensiero del movimento operaio in materia di democrazia sostanziale, sia ai motivi più attuali d’una cittadinanza partecipata capace di esercitare una decisione democratica su tutti i più rilevanti punti della convivenza sociale: dalle scelte economiche a quelle ambientali, dalla distribuzione della ricchezza alla gestione di una sicurezza che, se deve divenire, per l’autore, un diritto di rango costituzionale, deve però essere declinata, contemporaneamente, nelle forme dell’efficace politica di contrasto e della costruzione di quei legami sociali che della sicurezza sono precondizione e contenuto. Un approccio particolarmente interessante, quest’ultimo, ad un problema tanto strumentalizzato (e spesso aggravato) dalla destra, quanto ignorato o sottovalutato da ciò che resta della sinistra: prendere sul serio la questione della sicurezza e, nello stesso tempo, modificarne i termini rispetto alle correnti semplificazioni, è senz’altro una delle chiavi per rispondere al grave imbarbarimento del nostro discorso pubblico.
Particolarmente interessanti, infine, e sempre in tema di democrazia, sono le osservazioni offerteci da Romano sul delicato tema della riforma della politica. Qui, come altrove, l’autore non si concede scorciatoie, sia perché chiama in causa anche i movimenti e le associazioni (che, pure, in questi anni hanno mostrato una vitalità spesso assai superiore a quella dei partiti), avvertendoli della necessità di non cullarsi nell’illusione di essere sempre e comunque portatori di innovazione, sia perché non si associa al coro dei liquidatori dei partiti e, forse proprio per questo, indica con rigore le vie di una loro possibile autoriforma. A chi è impegnato nei partiti, infatti, Romano non rivolge generici richiami all’apertura ed al rinnovamento, non chiede semplicemente di “farsi da parte” e di delegare alla società un numero crescente di funzioni, ma suggerisce modifiche radicali proprio nei punti più sensibili, e più importanti al fine di un effettivo rilancio del ruolo dei partiti stessi: i processi di formazione dei gruppi dirigenti, la capacità di definizione programmatica, l’efficacia e la democraticità della struttura organizzativa. Così, entrando nel “cuore” del funzionamento dei partiti, la critica di Romano non si confonde con le ricorrenti demolizioni che, non a caso, distruggono ciò che vi era di “popolare” nei partiti stessi e favoriscono la formazione di strutture leaderistiche e populistiche, ma tenta di disegnare l’immagine di organismi politici forti e adeguati ai mutamenti, capaci di stare al passo con le dinamiche della cittadinanza partecipata, e di sollecitarle.
“È ora di tornare all’impegno politico”, ci dice l’autore: ed è chiaro che l’impegno di cui parla è quello di estendere, rinnovare, rendere più democratiche ed efficaci tutte le forme d’azione oggi presenti, da quelle più tradizionali a quelle che movimenti ed associazioni hanno tumultuosamente sperimentato negli anni più recenti. È l’impegno, a cui tutti siamo sollecitati, a non fare “per” i cittadini, ma “con” essi.
Insomma, le osservazioni di Romano mostrano ad un tempo una realistica comprensione dei limiti attuali della politica ed una sostanziale fiducia nel positivo ruolo di una politica rinnovata: pregio non ultimo di un libro la cui essenzialità è, con tutta evidenza, la concretizzazione di una intensa e lucida passione civile.
Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc
Prefazione
C’e un magico filo rosso che lega gli articoli, tratti da Viator lungo un percorso di 4 anni, che compongono questo libro: il lettore non ci metterà molto a scovarlo e ad apprezzarlo. A me tocca l’onore di fargliene sentire sommessamente il profumo e indurlo a provarne il desiderio come nelle case inebriate dagli aromi di succulenti sughi, anticipatori di prelibatezze, che esperti cuochi assemblano per sollecitare sopìti appetiti.
Qualche indizio lo possiamo ovviamente scorgere nel titolo e nel sottotitolo, ispirati da carichi da undici, con concetti assoluti come democrazia, umanesimo, diritti dei cittadini. Come se l’Autore avvertisse un pericolo, un disagio, come se si chiedesse a che punto siamo con l’applicazione delle regole democratiche, con la centralità della persona, con la salvaguardia delle spettanze della comunità. Ed ecco prendere corpo l’individuazione della malattia e della sua cura:
“Le democrazie rischiano in sostanza di chiudersi sul versante dei diritti e di lasciare ai soggetti forti dell’economia campo libero nel gestire sempre più spazi di vita, di socialità e di organizzazione politica. È decisivo pertanto trasformare le nostre democrazie, ripensarle radicalmente per verificarne i contenuti di fondo e per rivederne i meccanismi decisionali e partecipativi”.
Riflessioni profonde: come non essere d’accordo, in tempi in cui la politica è degradata a controfigura di se stessa e i giochetti finanziari mondiali agonizzano? Ripensare la democrazia e la sua inspiegabile e drammatica capacità di generare guerre (USA docet), le dinamiche partecipative, la formazione del consenso, l’attenzione alla dimensione solidale e nonviolenta, la salvaguardia dei diritti umani, minacciati da chi li vuole penalizzare o addirittura negare: di tutto questo dovrebbe essere animato il dibattito all’interno della società civile, di tutto questo dovrebbero essere composti gli ordini del giorno sparpagliati sui tavoli di dialogo.
Il filo rosso si dipana sulla denuncia del nostro modo di vivere, di consumare, di atteggiarci a tronfi ospiti di un mondo che non c’è quasi più, depauperato e degradato, senza più energia né futuro, sulla necessità di trovare rapidamente una soluzione vitale che sostenga il pianeta. Se fossero in forma a questo dovrebbero servire la democrazia e la politica matura, a trovare soluzioni, soluzioni vantaggiose per tutti, e non per qualcuno soltanto. E soprattutto ad individuare quelle finalità delineate da “un orizzonte di valori condivisi, fondati sul riconoscimento dei diritti inviolabili della persona” e garantite dalle risorse messe a disposizione dall’economia. Ma sia l’economia che la politica nella sua applicazione democratica stanno vivendo un periodo che tradisce le caratteristiche tipiche “della fase finale”, assalite la prima dalla crisi del capitalismo e dalle sue perverse finzioni e la seconda da una crisi di identità.
Dimostra di saperlo bene Romano quando sottolinea a più riprese il giudizio sul capitalismo riconoscendo che non ha cambiato la sua natura disumana solo perché ha storicamente trionfato sul comunismo. Il sistema delle libertà economiche ha prodotto ricchezza per pochi e povertà per molti. Occorre, scrive Romano, recuperare un «humus etico-politico-culturale che va ricoltivato sia in termini comunitari che individuali. C’è una “questione morale” (non uccidere, non rubare, non mentire) da mettere alla base di ogni scelta politica od opzione culturale».
E fa bene l’Autore a lamentarsi del silenzio che circonda questa fondamentale necessità, un silenzio alimentato anche da chi dovrebbe invece combatterlo, come la Chiesa di Ratzinger, combattuta tra il desiderio di una nuova era e la difesa di posizioni di retroguardia conservatrice. I veri cristiani hanno il compito di alimentare la rete connettiva fra ideali e prassi, impegno derivante da una coscienza di valori morali intangibili, fondamentale nel combattere “la resistenza all’overdose di realismo dei mercanti che ostacola ogni vera profezia sul mondo”.
Sono tanti i punti toccati dalle lucide analisi dell’Autore, dall’accesso all’informazione alla normativa dei brevetti, dalla lotta strutturale contro l’Aids alla distribuzione delle risorse. Comun denominatore quello di “essere dalla parte della soluzione” e non del problema, di dare il proprio contributo a migliorare una società in asfissia. Il cinico obietterà che non sarà certo un saggio (nella duplice accezione di aggettivo e sostantivo…) a cambiare le cose ma Davide Romano è intenzionato a fare interamente il suo dovere di rabdomante di acqua nuova. Come nel caso in cui suggerisce soluzioni per ripensare anche la città ed un nuovo concetto di cittadinanza al passo delle nuove e diversificate esigenze sociali, con l’obiettivo di fronteggiare un conservatorismo di ritorno, intriso di “strabismo”: da una parte pretende una “tolleranza zero” con i responsabili dei reati contro il patrimonio, quasi sempre appartenenti a strati sociali modesti, e dall’altra consente una “tolleranza mille” verso i reati di tipo finanziario, ben più rilevanti e vigliacchi.
Occorre dunque una nuova formulazione del welfare locale che aiuti a superare il disagio delle città e soprattutto delle periferie gestite spesso con noncuranza dalle amministrazioni locali alle quali si “accompagna un’azione di governo che, se da un lato pone in essere politiche fiscali vantaggiose per i più privilegiati, dall’altro taglia sistematicamente le risorse destinate a rilanciare lo sviluppo delle zone depresse delle città e a salvaguardare lo stato sociale”.
Ma non tutto è opaco: da cuore sensibile ed attento osservatore del fenomeno mafioso l’Autore ci regala un sorriso proprio nella ruga più profonda e devastante della società. Nelle due riflessioni dedicate alla mafia sono nascoste un’illuminazione ed una constatazione. La prima è legata alla consapevolezza che la lotta alla criminalità organizzata viva soprattutto di due ingredienti base: la legalità e lo sviluppo, armonizzati insieme per originare una nuova società e, con essa, una partecipazione attiva dei cittadini organizzati lecitamente e orientati a favorire una nuova cultura che alimenti la stessa base e il vertice.
La seconda si riferisce al successo ottenuto dall’aggressione ai patrimoni delle mafie: l’efficacia del loro utilizzo produttivo e sociale costituisce una delle più significative vittorie che il nostro sistema democratico è riuscito a conseguire nel contrasto alla criminalità organizzata; il modello della trasformazione dalle dinamiche del Male a quelle del Bene rappresenta, sia a livello sostanziale che a livello educativo e simbolico, l’icona profetica della possibilità redentrice dell’Oscurità.
Daniele Gallo, direttore responsabile del mensile di ispirazione cristiana Viator
Presentazione
di Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc
e portavoce nazionale della Federazione della sinistra,
Il valore particolare di questo agile volume di Davide Romano sta proprio nella capacità di sintesi di cui l’autore fa mostra nell’affrontare press’a poco tutti i problemi fondamentali della nostra epoca: una capacità di sintesi che rende molto efficace la descrizione, la diagnosi e l’indicazione delle possibili soluzioni delle numerose difficoltà che la società e la politica si trovano oggi a fronteggiare.
I processi di globalizzazione e di nuova territorializzazione, e la conseguente crisi degli Stati nazionali, sono posti lucidamente alla base della necessità di ripensare la democrazia sia nel rapporto paritetico tra grandi aggregati sovranazionali (Europa, Nordamerica, America latina...) che nella ridefinizione della città come nuovo luogo della partecipazione civile..
La doppia sfida delle nuove (e diffusissime) povertà e della sostenibilità ambientale del presente modello di sviluppo, viene efficacemente presentata come la matrice della drammatica urgenza dei nostri problemi.
La diffusione globale e locale dell’«economia criminale», e quindi delle mafie, viene giustamente enfatizzata come cifra di uno sviluppo economico del tutto sregolato che, esaltato dalla guerra permanente, fa sì che la politica divenga diretta rappresentante del crimine (andando quindi ben oltre il classico rapporto di “scambio politico”) e giunge a creare, in particolare nelle zone di più acuto conflitto, dei veri e propri “stati-mafia”.
Insomma: tutte o quasi le nostre questioni essenziali sono tratteggiate da Romano in modo da renderne immediatamente percepibili, e quasi tangibili, le dimensioni e la gravità.
Questa sobria capacità di racconto non impedisce all’autore brevi ma istruttivi “affondi” nei dettagli.
È il caso dell’analisi della legislazione e della prassi amministrativa in materia di confisca e riconversione sociale dei beni sequestrati alle organizzazioni criminali. Qui, la minuziosa descrizione dell’evoluzione della normativa (e della sua attuazione) riesce a rendere conto sia degli ostacoli che via via si frappongono alla sua piena efficacia, sia della massa di competenze tecniche, amministrative e sociali che dovrebbero essere mobilitate per esaltare questa efficacia stessa, sia dell’importante valore simbolico e materiale dell’utilizzo dei beni confiscati al fine di ricostruire (e non di distruggere, come vorrebbero le mafie) nuovi e più saldi legami sociali e civili.
Ed è il caso dell’attenzione che l’autore, assai sensibile alle tematiche religiose, dedica al rapporto tra Islam ed economia, territorio assai poco frequentato dalla nostra cultura. Con sguardo reso acuto dalla curiosità intellettuale e dall’assenza di pregiudizi, vengono individuati i tratti fondamentali della “virtuosa economia” dell’Islam, e messe in luce nozioni ignote ai più, come la “tassa islamica” sulle ricchezze inutilizzate, o il divieto della riba (ossia dell’interesse tratto dalla pura attività speculativa). Nozioni che possono spiegare le particolarità di quella dottrina economica, e quindi sia alcuni suoi limiti ed incongruenze, sia il suo apporto al radicamento sociale di un orientamento religioso la cui diffusione viene troppe volte spiegata, dalla nostra mentalità occidentale, col facile ricorso alla categoria dell’«arretratezza» (mentre Romano invita a coglierne la relazione con alcune delle più avanzate pratiche di economia alternativa, come quella del microcredito).
Ma il tema principale del libro, il leit motiv di tutte le sue diverse argomentazioni, è senz’altro quello della democrazia e delle sue nuove forme, una democrazia che diviene la base di quell’umanesimo in cui Romano vede la vera missione dell’Europa del XXI secolo. E nel delineare questa democrazia Romano attinge sia alla più alta tradizione liberale, valorizzando al massimo il ruolo della divisione dei poteri, sia all’apporto del pensiero del movimento operaio in materia di democrazia sostanziale, sia ai motivi più attuali d’una cittadinanza partecipata capace di esercitare una decisione democratica su tutti i più rilevanti punti della convivenza sociale: dalle scelte economiche a quelle ambientali, dalla distribuzione della ricchezza alla gestione di una sicurezza che, se deve divenire, per l’autore, un diritto di rango costituzionale, deve però essere declinata, contemporaneamente, nelle forme dell’efficace politica di contrasto e della costruzione di quei legami sociali che della sicurezza sono precondizione e contenuto. Un approccio particolarmente interessante, quest’ultimo, ad un problema tanto strumentalizzato (e spesso aggravato) dalla destra, quanto ignorato o sottovalutato da ciò che resta della sinistra: prendere sul serio la questione della sicurezza e, nello stesso tempo, modificarne i termini rispetto alle correnti semplificazioni, è senz’altro una delle chiavi per rispondere al grave imbarbarimento del nostro discorso pubblico.
Particolarmente interessanti, infine, e sempre in tema di democrazia, sono le osservazioni offerteci da Romano sul delicato tema della riforma della politica. Qui, come altrove, l’autore non si concede scorciatoie, sia perché chiama in causa anche i movimenti e le associazioni (che, pure, in questi anni hanno mostrato una vitalità spesso assai superiore a quella dei partiti), avvertendoli della necessità di non cullarsi nell’illusione di essere sempre e comunque portatori di innovazione, sia perché non si associa al coro dei liquidatori dei partiti e, forse proprio per questo, indica con rigore le vie di una loro possibile autoriforma. A chi è impegnato nei partiti, infatti, Romano non rivolge generici richiami all’apertura ed al rinnovamento, non chiede semplicemente di “farsi da parte” e di delegare alla società un numero crescente di funzioni, ma suggerisce modifiche radicali proprio nei punti più sensibili, e più importanti al fine di un effettivo rilancio del ruolo dei partiti stessi: i processi di formazione dei gruppi dirigenti, la capacità di definizione programmatica, l’efficacia e la democraticità della struttura organizzativa. Così, entrando nel “cuore” del funzionamento dei partiti, la critica di Romano non si confonde con le ricorrenti demolizioni che, non a caso, distruggono ciò che vi era di “popolare” nei partiti stessi e favoriscono la formazione di strutture leaderistiche e populistiche, ma tenta di disegnare l’immagine di organismi politici forti e adeguati ai mutamenti, capaci di stare al passo con le dinamiche della cittadinanza partecipata, e di sollecitarle.
“È ora di tornare all’impegno politico”, ci dice l’autore: ed è chiaro che l’impegno di cui parla è quello di estendere, rinnovare, rendere più democratiche ed efficaci tutte le forme d’azione oggi presenti, da quelle più tradizionali a quelle che movimenti ed associazioni hanno tumultuosamente sperimentato negli anni più recenti. È l’impegno, a cui tutti siamo sollecitati, a non fare “per” i cittadini, ma “con” essi.
Insomma, le osservazioni di Romano mostrano ad un tempo una realistica comprensione dei limiti attuali della politica ed una sostanziale fiducia nel positivo ruolo di una politica rinnovata: pregio non ultimo di un libro la cui essenzialità è, con tutta evidenza, la concretizzazione di una intensa e lucida passione civile.
Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc
Prefazione
C’e un magico filo rosso che lega gli articoli, tratti da Viator lungo un percorso di 4 anni, che compongono questo libro: il lettore non ci metterà molto a scovarlo e ad apprezzarlo. A me tocca l’onore di fargliene sentire sommessamente il profumo e indurlo a provarne il desiderio come nelle case inebriate dagli aromi di succulenti sughi, anticipatori di prelibatezze, che esperti cuochi assemblano per sollecitare sopìti appetiti.
Qualche indizio lo possiamo ovviamente scorgere nel titolo e nel sottotitolo, ispirati da carichi da undici, con concetti assoluti come democrazia, umanesimo, diritti dei cittadini. Come se l’Autore avvertisse un pericolo, un disagio, come se si chiedesse a che punto siamo con l’applicazione delle regole democratiche, con la centralità della persona, con la salvaguardia delle spettanze della comunità. Ed ecco prendere corpo l’individuazione della malattia e della sua cura:
“Le democrazie rischiano in sostanza di chiudersi sul versante dei diritti e di lasciare ai soggetti forti dell’economia campo libero nel gestire sempre più spazi di vita, di socialità e di organizzazione politica. È decisivo pertanto trasformare le nostre democrazie, ripensarle radicalmente per verificarne i contenuti di fondo e per rivederne i meccanismi decisionali e partecipativi”.
Riflessioni profonde: come non essere d’accordo, in tempi in cui la politica è degradata a controfigura di se stessa e i giochetti finanziari mondiali agonizzano? Ripensare la democrazia e la sua inspiegabile e drammatica capacità di generare guerre (USA docet), le dinamiche partecipative, la formazione del consenso, l’attenzione alla dimensione solidale e nonviolenta, la salvaguardia dei diritti umani, minacciati da chi li vuole penalizzare o addirittura negare: di tutto questo dovrebbe essere animato il dibattito all’interno della società civile, di tutto questo dovrebbero essere composti gli ordini del giorno sparpagliati sui tavoli di dialogo.
Il filo rosso si dipana sulla denuncia del nostro modo di vivere, di consumare, di atteggiarci a tronfi ospiti di un mondo che non c’è quasi più, depauperato e degradato, senza più energia né futuro, sulla necessità di trovare rapidamente una soluzione vitale che sostenga il pianeta. Se fossero in forma a questo dovrebbero servire la democrazia e la politica matura, a trovare soluzioni, soluzioni vantaggiose per tutti, e non per qualcuno soltanto. E soprattutto ad individuare quelle finalità delineate da “un orizzonte di valori condivisi, fondati sul riconoscimento dei diritti inviolabili della persona” e garantite dalle risorse messe a disposizione dall’economia. Ma sia l’economia che la politica nella sua applicazione democratica stanno vivendo un periodo che tradisce le caratteristiche tipiche “della fase finale”, assalite la prima dalla crisi del capitalismo e dalle sue perverse finzioni e la seconda da una crisi di identità.
Dimostra di saperlo bene Romano quando sottolinea a più riprese il giudizio sul capitalismo riconoscendo che non ha cambiato la sua natura disumana solo perché ha storicamente trionfato sul comunismo. Il sistema delle libertà economiche ha prodotto ricchezza per pochi e povertà per molti. Occorre, scrive Romano, recuperare un «humus etico-politico-culturale che va ricoltivato sia in termini comunitari che individuali. C’è una “questione morale” (non uccidere, non rubare, non mentire) da mettere alla base di ogni scelta politica od opzione culturale».
E fa bene l’Autore a lamentarsi del silenzio che circonda questa fondamentale necessità, un silenzio alimentato anche da chi dovrebbe invece combatterlo, come la Chiesa di Ratzinger, combattuta tra il desiderio di una nuova era e la difesa di posizioni di retroguardia conservatrice. I veri cristiani hanno il compito di alimentare la rete connettiva fra ideali e prassi, impegno derivante da una coscienza di valori morali intangibili, fondamentale nel combattere “la resistenza all’overdose di realismo dei mercanti che ostacola ogni vera profezia sul mondo”.
Sono tanti i punti toccati dalle lucide analisi dell’Autore, dall’accesso all’informazione alla normativa dei brevetti, dalla lotta strutturale contro l’Aids alla distribuzione delle risorse. Comun denominatore quello di “essere dalla parte della soluzione” e non del problema, di dare il proprio contributo a migliorare una società in asfissia. Il cinico obietterà che non sarà certo un saggio (nella duplice accezione di aggettivo e sostantivo…) a cambiare le cose ma Davide Romano è intenzionato a fare interamente il suo dovere di rabdomante di acqua nuova. Come nel caso in cui suggerisce soluzioni per ripensare anche la città ed un nuovo concetto di cittadinanza al passo delle nuove e diversificate esigenze sociali, con l’obiettivo di fronteggiare un conservatorismo di ritorno, intriso di “strabismo”: da una parte pretende una “tolleranza zero” con i responsabili dei reati contro il patrimonio, quasi sempre appartenenti a strati sociali modesti, e dall’altra consente una “tolleranza mille” verso i reati di tipo finanziario, ben più rilevanti e vigliacchi.
Occorre dunque una nuova formulazione del welfare locale che aiuti a superare il disagio delle città e soprattutto delle periferie gestite spesso con noncuranza dalle amministrazioni locali alle quali si “accompagna un’azione di governo che, se da un lato pone in essere politiche fiscali vantaggiose per i più privilegiati, dall’altro taglia sistematicamente le risorse destinate a rilanciare lo sviluppo delle zone depresse delle città e a salvaguardare lo stato sociale”.
Ma non tutto è opaco: da cuore sensibile ed attento osservatore del fenomeno mafioso l’Autore ci regala un sorriso proprio nella ruga più profonda e devastante della società. Nelle due riflessioni dedicate alla mafia sono nascoste un’illuminazione ed una constatazione. La prima è legata alla consapevolezza che la lotta alla criminalità organizzata viva soprattutto di due ingredienti base: la legalità e lo sviluppo, armonizzati insieme per originare una nuova società e, con essa, una partecipazione attiva dei cittadini organizzati lecitamente e orientati a favorire una nuova cultura che alimenti la stessa base e il vertice.
La seconda si riferisce al successo ottenuto dall’aggressione ai patrimoni delle mafie: l’efficacia del loro utilizzo produttivo e sociale costituisce una delle più significative vittorie che il nostro sistema democratico è riuscito a conseguire nel contrasto alla criminalità organizzata; il modello della trasformazione dalle dinamiche del Male a quelle del Bene rappresenta, sia a livello sostanziale che a livello educativo e simbolico, l’icona profetica della possibilità redentrice dell’Oscurità.
Daniele Gallo, direttore responsabile del mensile di ispirazione cristiana Viator
Nessun commento:
Posta un commento